Alimenti che fanno male al fegato

Esistono davvero alimenti dannosi per il fegato? In Italia, più che in altri Paesi europei, persiste un'irrazionale quanto diffusa convinzione che molti alimenti facciano male al fegato. In effetti nel fegato si compiono complesse trasformazioni chimiche con la costruzione, conversione, demolizione e inattivazione di molecole.


Cibi che fanno male al fegato
Fegato

Per questi motivi il fegato funge da stazione di controllo, con diritto di prelievo e di riversamento, su tutto ciò che il severissimo filtro intestinale ha autorizzato ad entrare nel sangue sotto forma di molecole elementari.

 

Il fegato, però, non ha mai a che fare direttamente con gli alimenti, ma soltanto con gli aminoacidi, gli acidi grassi e gli zuccheri semplici che li componevano.

 

Vale a dire con un materiale reso anonimo dalle scomposizioni digestive che lo consegneranno, solo in una struttura chimica semplificata, all'assorbimento della mucosa intestinale e quindi al trasferimento, tramite la vena porta, alla centrale metabolica del fegato.

 

I problemi del fegato sono piuttosto quelli di una fabbrica a cui può arrivare poco o troppo materiale per le lavorazioni; possono scarseggiare, ad esempio, alcuni aminoacidi o possono abbondare i trigliceridi e inoltre, come in tutti i luoghi di lavoro, possono nascere problemi gravi col personale.

 

Proprio questi ultimi sono i problemi più seri, perché si possono creare allora delle situazioni in cui il danno cellulare supera la capacità di rigenerazione, come nelle malattie virali o nell'abuso alcolico.

Fegato: la sonnolenza post-prandiale

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L'espressione "insufficienza epatica" andrebbe usata soltanto per questi casi e non per i problemi digestivi a cui il fegato può essere del tutto estraneo.

 

La sonnolenza post-prandiale, la bocca amara al risveglio, la digestione laboriosa, il meteorismo e la stipsi ostinata, sono espressioni di "dispepsia" e non obbligatoriamente di insufficienza epatica.

 

Questa è la realtà, ben nota a chi segue i malati di fegato, ma per il prestigio di un giovane medico sarebbe pericoloso sostenerla di fronte a tanti epatopazienti immaginari che, probabilmente, stanno anche usando degli immaginari farmaci epatoprotettori.

 

Sarebbe ancora più sorprendente se un medico più aggiornato si spingesse fino a liberalizzare l'alimentazione di questi pazienti, sia pure nei limiti del comune buonsenso.

 

Gli studi clinici e sperimentali dimostrano, invece, che soltanto pochissimi alimenti vanno esclusi o limitati nell'insufficienza epatica, nella steatosi e perfino nelle fasi ben compensate della cirrosi epatica.

 

La professoressa Sherlock, eminente studiosa del fegato, amava ironizzare sui pregiudizi italiani verso il burro, il bacon e ogni altro grasso animale; al riguardo, ha dimostrato che nella banale epatite la normalizzazione delle transaminasi (la cui elevazione è un tipico segnale di danno epatico) avviene più sollecitamente nei soggetti che hanno seguito la normale alimentazione equilibrata, piuttosto che tra coloro che hanno adottato una dieta esageratamente povera di grassi e ricca di zuccheri, come prescrivono ancora troppi medici italiani.

 

Non è il fegato il responsabile di quell'insieme di fastidi digestivi che rientrano nella sindrome dispeptica e neppure la temutissima cistifellea merita l'interdizione indiscriminata di uova e grassi, quando non contenga dei calcoli.

 

Anche se al portatore dei disturbi risulterà più o meno indifferente che la vera causa risieda nel fegato o altrove, sarà utile convincerlo che soltanto qualcuno degli alimenti incriminati può avere una responsabilità diretta nello scatenare la sintomatologia di cui soffre.

 



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