Alimenti light: attenti all’inganno

Tra gli scaffali dei supermercati, le versioni "light" dei prodotti alimentari sono sempre più presenti: ma sono veramente più leggere o sono soltanto uno specchietto per allodole? E’ stato calcolato che circa il 70% dei più comuni prodotti alimentari si offre ai consumatori anche in veste "light", ovvero alleggerita da grassi e/o zuccheri.

Alimenti light: attenti all’inganno
cibi light

Ossessionati dalla forma fisica, spesso troppo semplicisticamente identificata con il raggiungimento del proprio peso ideale (a volte più immaginario che realmente tale), anche gli italiani non si sottraggono alla moda del consumo di alimenti leggeri e ipocalorici.


E mentre l'offerta aumenta in modo esponenziale, complice anche una innata propensione a ricalcare lo stile di vita d'oltreoceano (ma non dimentichiamo che gli USA oltre a essere i più grandi consumatori di prodotti light sono anche il Paese con la maggior percentuale di obesità, e qui i conti non tornano...), abbondano le definizioni ambigue e sibilline che possono trarci facilmente in inganno.


Secondo la normativa europea in materia si può definire "light" solo un alimento con il 30% in meno di calorie, di grassi o zuccheri o di entrambi rispetto alla sua versione "normale". Come detto più volte su queste pagine, la più efficace arma di difesa del consumatore è l'attenta e scrupolosa lettura delle informazioni riportate, purtroppo spesso in caratteri lillipuziani, in etichetta.


Proprio quanto ci suggerisce la dottoressa Antonella Borrometi, tecnologa alimentare dell'associazione Altroconsumo.


A cosa devono stare attenti i consumatori per non farsi ingannare da prodotti light che non sono realmente tali?

Devono leggere attentamente la lista degli ingredienti e controllare la tabella nutrizionale per verificare che il prodotto corrisponda effettivamente alle caratteristiche desiderate. Particolarmente interessanti sono le tabelle nutrizionali che riportano le informazioni per porzione (oltre che per 100 g), ossia per quella che è realmente l'unità di consumo (un vasetto di yogurt, una merendina, ecc.) perché permettono di capire velocemente le calorie, i grassi e gli zuccheri che ingeriremo, e di poter fare un facile confronto con prodotti analoghi.


Quando nell'etichetta è scritto "senza zucchero", significa necessariamente che sono stati usati dolcificanti artificiali?

È probabile, ma non è detto. Innanzitutto in questo caso per zuccheri si intende saccarosio, fruttosio e glucosio, non i dolcificanti artificiali e poi è solo la lettura dell'elenco degli ingredienti che ci da questa informazione. Il Regolamento Europeo distingue tra "senza zuccheri" e "senza zuccheri aggiunti". La prima indicazione è consentita solo se il prodotto contiene non più di 0,5 g di zuccheri per 100 g o 100 ml. L'indicazione che all'alimento non sono stati aggiunti zuccheri è consentita invece solo se il prodotto non contiene mono o disaccaridi aggiunti o ogni altro prodotto alimentare utilizzato per le sue proprietà dolcificanti.

Se l'alimento contiene naturalmente zuccheri, deve figurare sull'etichetta la frase: "contiene naturalmente zuccheri".


Quali sono i dolcificanti più utilizzati e quali sono le loro caratteristiche?

Tutti i dolcificanti che terminano in -olo (xilitolo, sorbitolo, mannitolo, ecc.), definiti polialcoli, sono impiegati soprattutto in caramelle e gomme da masticare, non solo per dolcificare, ma anche per dare consistenza al prodotto. Non tutti sanno, però, che i polialcoli contribuiscono al bilancio calorico a differenza invece dei dolcificanti intensivi (aspartame, acesulfame, ecc), che sono completamente acalo­rici. Inoltre, un loro consumo eccessivo può avere effetti lassativi.


Tra i dolcificanti intensivi, il più comune è l'aspartame, ma ultimamente è stato messo "sotto osservazione" ed è attesa per il prossimo futuro una valutazione dell'EFSA (l'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare). Negli Stati Uniti invece è proibito l'uso dei ciclammati, un altro tipo di dolcificante intensivo, e questo perché da studi sugli animali è emerso che non sono completamente innocui. In Europa, il loro uso è stato autorizzato, ma sono state riviste al ribasso le dosi massime consentite.


Quindi non possiamo fidarci dei dolcificanti intensivi?

L'importante è non abusarne. I dolcificanti di cui stiamo parlando sono considerati additivi alimentari e come tali devono ricevere una valutazione da parte dell'EFSA. Se non fossero sicuri, non sarebbe permesso il loro utilizzo. Detto questo, la scienza con­tinua a lavorare e aggiornare i dati, per cui con il tempo le valutazioni potrebbero essere modificate, per esempio potrebbero essere ridotte le dosi di impiego.


E per quanto riguarda invece il fruttosio?

Il fruttosio si differenzia dal comune zucchero da cucina (il saccarosio), non per l'apporto calorico che a parità di quantità rimane lo stesso, ma perché ha un potere dolcificante maggiore e quindi si potrà usarne di meno, diminuendo così l'introito di calorie. Ecco perché è considerato "dietetico". Inoltre il fruttosio ha un indice glicemico più basso, caratteristica importante per chi è diabetico.


Questi aspetti apparentemente positivi, uniti al fatto che il fruttosio, essendo lo zucchero della frutta, viene spesso percepito come "più naturale", potrebbero far sì che i consumatori trattino il fruttosio in modo diverso rispetto al saccarosio, facendone un uso "a cuor leggero", pensando che tanto è naturale, dietetico, meno calorico. È bene ribadire però che il consumo in generale degli zuccheri, qualsiasi essi siano, è da limitare, per evitare tutta una serie di problemi, a cominciare da sovrappeso e obesità.


Negli ultimi tempi stanno entrando in commercio molte bibite dolcificate con il fruttosio, cosa ne pensa?

Oltre a quanto detto, è bene sapere che in questo momento il fruttosio è, tra gli zuccheri, quello più messo in discussione, perché un suo consumo, soprattutto se in quantità eccessive, è correlato a diversi problemi che riguardano la

sindrome metabolica. A dirlo sono diversi studi che si riferiscono alla realtà americana,

dove il fruttosio è ampiamente usato nei prodotti alimentari zuccherati, nei quali ad esempio viene usato sciroppo di mais ("corn syrup" in inglese) contenente appunto fruttosio, tra cui soprattutto le bibite. In Italia, sebbene al momento la situazione sia diversa, sembra che l'industria stia prendendo questa direzione: sia bibite che alimenti dolcificati con fruttosio sono in aumento.


Qual è il suo consiglio finale dunque in tema di dolcificanti?

Come detto in precedenza, l'importante è contenere il consumo di zucchero in generale, che sia saccarosio o fruttosio, e tenere presente che è meglio non abusare di dolcificanti artificiali che limitano sì l'apporto ca­lorico, ma che per molti versi sono ancora sotto osservazione da parte delle autorità competenti. E poi ricor­diamoci che il dolcificante artificiale non può da solo risolvere un problema di peso!


Come avviene invece la diminuzione dei grassi? Con cosa vengono sostituiti?

Si può agire in diversi modi. Un metodo è utilizzare un ingrediente già sgrassato, come si fa per esempio per lo yogurt magro, partendo dal latte scremato. In questo caso l'intervento è solo di natura fisica, mediante centrifuga che allontana la parte grassa. Togliere il grasso significa togliere calorie. Oppure si può sostituire una parte del grasso con proteine, fibre o amido. Se parliamo di sostituzione di ingrediente, però, non possiamo aspettarci una forte riduzione delle calorie come nel caso precedente. A parte le fibre, infatti, anche amido e proteine contribuiscono al bilancio calorico finale.


E ancora: si può togliere il grasso e aggiungere al suo posto l'acqua, come avviene nel caso del burro. Bisogna ricordare, però, che un'aggiunta di acqua può portare all'instabilità del prodotto dal punto di vista microbiologico, necessitando una conseguente aggiunta di conservanti. Infine, poiché in que­sto modo si riduce il potere saziante dell'alimento, si tende a consumarne una maggiore quantità.


E cosa ne pensa della pasta dietetica?

Attenzione a non confondere il termine "dietetico" con "ipocalorico".

Per legge, la definizione dietetica è de­stinata ad una alimentazione speciale, per patologie specifiche come la celiachia. La caratteristica della pasta integrale invece non è tanto quello di avere poche calorie, perché in realtà ne ha poche di meno rispetto a quella tradizionale, ma nell'essere ricca di fibre. Poiché spesso ne assumiamo meno del necessario, l'introduzione della pasta e di altri prodotti integrali come pane, cracker, ecc, può essere un valido aiuto per integrarle nella nostra alimentazione.


Quali sono a suo parere i vantaggi dei prodotti light?

I prodotti light apportano meno calorie e possono essere un aiuto nel caso   di   diete   ipocaloriche.  Ma  ci sono   due   importanti   raccomandazioni da fare ai consumatori. Innanzitutto, bisogna stare attenti a non cedere alla tentazione di mangiarne una quantità maggiore con la scusa che "tanto ha meno calorie". In secondo luogo, se l'obiettivo è una riduzione del proprio peso corporeo, non è sufficiente  il ricorso a   prodotti light, ma è importante seguire una dieta varia ed equilibrata, elaborata da uno specialista, senza dimenticare una sana e regolare attività fisica.

I pro e i contro dei cibi light

Pro

Il latte parzialmente scremato e i latticini ottenuti da esso, come yogurt e formaggi, possono essere un buon compromesso tra gusto e quantità di grassi.


La panna light contiene circa 100 calorie in meno rispetto alla panna tradizionale.


Può essere un valido sostituto in una dieta ipocalorica, a patto di rispettare la stessa quantità prevista dalla ricetta tradizionale.


Gelati, budini, creme in versione light consentono di gratificarsi e di placare un'improvvisa voglia di dolce introducendo meno calorie rispetto alla versione intera.


La marmellata senza zucchero ha un contenuto calorico significativamente più basso: circa 120 kcal contro le 342 kcal della ricetta classica. Spalmata su fette biscottate light (270 kcal vs 420 kcal) garantisce un ridotto apporto di calorie.


I prodotti light, a patto che siano realmente tali, consentono anche a chi segue un regime dietetico ipocalorico di preparare e consumare i propri piatti preferiti, a patto di mantenere sempre la stessa quantità prevista dalla ricetta.


Contro.

Il latte scremato perde il suo contenuto di vitamina A ed E.


La panna light contiene una maggiore quantità di acqua, per cui si monta più difficilmente e ha meno sapore, il rischio è di eccedere nella quantità.


I dessert light hanno un minor potere saziante, per cui si è spinti a consumarne più del necessario e quindi a vanificare il loro basso apporto calorico.


La marmellata senza zucchero contiene molta acqua e non è quindi adatta per la cottura in forno di crostate e torte. Inoltre, lo zucchero nella marmellata tradizionale svolge un'attività battericida e la sua assenza nella versione light viene di solito compensata con l'aggiunta di conservanti.


Nonostante spesso la riduzione di grasso consenta un risparmio per il produttore, per effetto della crescita della domanda, il prodotto finale arriva a costare invece circa il 10% in più. Considerando il ridotto contenuto nutritivo, comprare cibi light non è un grande affare per il consumatore.

COSA DICE LA LEGGE

La legge italiana fornisce indicazioni specifiche solo per pochissimi prodotti, come il burro, i formaggi, la birra, il burro "normale" deve avere, per legge, un contenuto in materia grassa non inferiore all'80%, mentre esistono due tipologie di burro "light": il burro leggero a ridotto tenore di grasso (tra il 60% e 62%) e il burro leggero a basso tenore di grasso (tra il 39% e il 41%).

 

Per quanto riguarda i formaggi, una legge del 1992 prevede che in etichetta sia riportata l'indicazione "magro" se il contenuto di grassi è inferiore al 20%; "leggero" se il contenuto è compreso tra il 20% e il 35%; semigrasso, con un contenuto di sostanza grassa compreso tra il 35% e il 42%. Queste percentuali sono riferite alla sostanza secca.


Infine, la denominazione "birra leggera" o "birra light" è riservata al prodotto con un volume di alcool compreso tra l'l,2% e il 3,5%. Infatti, un basso grado alcolico significa anche un ridotto contenuto calorico.


Articoli correlati.

I cibi light non fanno dimagrire



Scrivi commento

Commenti: 0