I cibi fritti fanno male?...

cibi fritti fanno male?
Frittura

Non è esatto che le fritture siano le preparazioni più grasse, né che debbano essere sempre considerate con sospetto o addirittura proibite dalla moderna Scienza dell'alimentazione.

 

Questa è la conclusione di uno studio condotto presso l'Università di Madrid, dal professor Varela, nell'ambito di una più vasta ricerca promossa da una Commissione della Comunità Europea che si interessa delle conoscenze scientifiche sull'olio di oliva.

Alimenti, Fritture, oli per friggere

Paragonando la tecnica della frittura con quella della brasatura e della lenta consumazione (stufato), si è visto che la quantità di grassi trattenuta dagli alimenti può risultare minore quando la frittura sia eseguita correttamente; inoltre, il danno termico sulla vitamina C e sulle proteine è meno sensibile nei cibi fritti.

 

Questi dati sono sorprendenti per il grande pubblico ma non per gli addetti ai lavori che sanno bene, ormai da diversi anni, che l'olio di oliva si deteriora alle alte temperature di cottura meno degli altri grassi commestibili.

 

La pubblicità, forzando sulla capacità di alcuni oli di semi di ridurre la colesterolemia, ha cercato di anteporli all'olio di oliva anche nelle fritture.

 

È nato così il mito delle fritture leggere con l'esaltazione di particolari oli di semi che, proprio per l'eccessiva insaturazione, risultano invece più deteriorabili alle alte temperature, rispetto all'olio di arachide e all'olio di oliva, specialmente quando vengono incautamente riutilizzati per più di una frittura.

 

Gli studi sperimentali degli ultimi anni hanno riconfermato non soltanto la superiorità dell'olio di oliva per l'impiego a caldo (per i condimenti a crudo né i buongustai né i dietologi hanno accettato seriamente la possibilità di un'alternativa) ma perfino la sua intercambiabilità con i troppo reclamizzati oli di semi ai fini della prevenzione dell'ipercolesterolemia.

 

Anzi, le sperimentazioni condotte da alcuni ricercatori americani (in particolare dal professor Scott Grundy, responsabile del Centro Studi sulla Nutrizione di Dallas, nel Texas) e più volte riconfermate da altri ricercatori, hanno dimostrato che l'olio di oliva riduce il colesterolo totale poco meno degli oli di semi, ma con l'enorme vantaggio di proteggere meglio la frazione HDL, cioè il cosiddetto "colesterolo buono".

 

Per quanto riguarda la digeribilità delle fritture è evidente che non si può accomunare una frittura casalinga, realizzata con olio di oliva o di arachidi, con certe fritture di rosticceria dove l'olio (e quale olio!) viene rabboccato molte volte prima di essere rinnovato.

 

Se proprio si vuole riutilizzare l'olio delle fritture bisognerebbe almeno filtrarlo, perché le particelle degli alimenti rimaste in sospensione nell'olio facilitano l'irrancidimento e costituiscono dei punti di surriscaldamento nella successiva frittura.

 

Le fritture casalinghe, se ben condotte, assorbono non più del 10% di grasso, rispetto al peso iniziale degli alimenti posti a friggere. Però è anche vero che certe confezioni industriali, come le patatine "chips", possono trattenere perfino il 40% di grasso.

 

Non per niente una multinazionale degli USA si è battuta per quasi vent'anni prima di ottenere dal rigoroso ente di controllo dei cibi e dei farmaci (FDA) di quel paese l'autorizzazione ad usare un particolare olio per fritture denominato Olestradel tutto inassorbibile a livello intestinale e perciò privo di apporto calorico, per la felicità dei patiti delle patatine fritte.

 

Non è possibile profetizzare il successo di questa iniziativa, ma è verosimile che per alcuni anni, cavalcando l'onda di lipofobia che ha caratterizzato gli ultimi decenni, alcuni salutisti e molte persone in sovrappeso si riavvicineranno alle fritture grazie a questo prodotto.

 

Tuttavia, la breve stagione vissuta dai prodotti "light", in sostituzione di alimenti di antica tradizione (ad esempio, formaggi e salumi), fa pensare che l'interesse per l'Olestra si esaurirà non appena sarà superata la curiosità iniziale.

 

Tra l'altro, nel caso dell'Olestra, esistono interrogativi non soltanto di fisiologia digestiva ma anche di ecologia, per la difficoltà di disperdere nell'ambiente una sostanza chimica non assorbibile.

 

Nelle fritture ben fatte gli alimenti devono essere immersi nell'olio di frittura a piccoli pezzi (non più di un paio di centimetri di spessore); inoltre bisogna evitare sia le temperature inferiori a 170°, sia il surriscaldamento eccessivo, utilizzando di preferenza una friggitrice elettrica dotata di termostato.

 

Una temperatura ottimale dell'olio di frittura consente alle componenti proteiche e amidacee dell'alimento (o alla pastella o al pangrattato quando si tratti di alimenti privi di amido, come carni o pesci) fa formazione immediata di una crosta.

 

È proprio questa crosta che darà alla frittura la croccantezza evitando, inoltre, un eccessivo assorbimento di grassi. Una volta terminata la cottura non bisogna tralasciare la saggia usanza di far riposare il fritto, rivoltandolo da tutti i lati, su una carta assorbente; ciò accontenterà sia il gastronomo che il dietologo.

 


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