Ridurre il sale non fa male a nessuno

Ridurre il sale non fa male a nessuno
Sale

Chi non deve usare il sale? Malgrado il sale abbia avuto, come conservante, un ruolo fondamentale nella storia dell'alimentazione sappiamo, oggi, che un suo alto consumo può esporre a dei rischi.

 

Negli ultimi anni si sono andati accumulando molti dati epidemiologici e clinici contro l'uso smodato del sale, specialmente nell'ipertensione e nell'eccessiva ritenzione di liquidi che si verifica in corso di malattie renali, epatiche o cardiache. 


Tutto il sale è già presente negli alimenti.

 

Nelle raccomandazioni dietetiche, preparate dagli esperti dei principali Paesi, figura ormai, immancabilmente, l'invito a ridurre il consumo del comune sale da cucina (cloruro di sodio).

 

In realtà, il problema non è circoscritto soltanto al sale ma piuttosto al sodio in generale, che rientra nell'alimentazione anche per altre vie; basti pensare al glutammato monosodico dei dadi da brodo, al bicarbonato di sodio, agli altri sali sodici presenti nelle acque minerali e in alcuni conservanti o integratori alimentari.

 

Tuttavia, la fonte di gran lunga più importante di sodio resta il sale, di cui si fa largo uso in cucina e a tavola. In Italia se ne consumano mediamente 12-15 g al giorno, cioè almeno il triplo di quanto sembrerebbe opportuno agli specialisti della nutrizione.

 

Nelle popolazioni primitive che consumano meno di 3 o 4 g di sale al giorno l'ipertensione è una malattia rara o sconosciuta, ma va sempre ricordato che in questi gruppi etnici, non raggiunti dal cosiddetto progresso, troppi fattori (dall'attività fisica, al fumo e allo stress) possono influire sul diverso andamento della pressione arteriosa nell'età adulta.

Comunque, le ricerche e gli studi più recenti confermano che non per tutti l'abuso del sale si tramuta in un rischio reale. Esistono famiglie geneticamente predisposte all'ipertensione e sensibili all'eccesso di sale mentre per altri individui il consumo di elevate quantità di sale non sembra responsabile di conseguenze sfavorevoli, né sulla pressione né sulla funzione renale.

 

In pratica, tutto il sale di cui l'uomo ha bisogno è già contenuto negli alimenti naturali e la salagione, a cui egli ha fatto ricorso da tempi immemorabili per garantirsi la conservazione degli alimenti, ha influenzato il gusto oltre misura.

Non dimentichiamoci che il sale ha rappresentato nel passato, per la sua importanza come conservante, un prezioso mezzo di scambio, perfino una retribuzione, detta appunto salario.

 

I Romani gli dedicarono perfino una strada, la via Salaria, percorsa dai convogli che facevano la spola tra Roma e l'Adriatico.

Tuttavia, dopo l'avvento dei frigoriferi e dei congelatori, la medicina non ha avuto più remore a condannare l'uso eccessivo del sale.

 

L'abuso, che ancora oggi se ne fa in cucina e a tavola, è soltanto un'abitudine gastronomica e una concessione al gusto saporito; sarebbe certamente meglio diminuire il sale e riscoprire l'uso degli aromi e delle spezie, peperoncino compreso.

 

Ridurre il sale non fa male a nessuno, ad eccezione degli sportivi o dei lavoratori esposti a grande sudorazione, ma può far bene a molti. Purtroppo, però, non basta salare un po' di meno se poi si è costretti a consumare cibi preparati dall'industria, perché nelle trasformazioni industriali, per motivi di gusto o per ragioni tecnologiche, il contenuto di sale è sempre considerevole.


Nemmeno l'avvento di diuretici efficaci può dispensare da un più oculato uso del sale, anche se nell'ipertensione di notevole grado resta prioritario il ricorso ai farmaci. Ma è pur vero che il contemporaneo controllo del sodio nell'alimentazione consentirà in molti casi di ridurre le dosi dei farmaci al minimo e ciò ha la sua importanza se si considera la cronicità dell'affezione.

 

La limitazione del sale si è dimostrata particolarmente utile nell'ipertensione arteriosa lieve, cioè nei casi al limite della normalità, quando la pressione minima oscilla fra 90 e  100 mmHg.

Nella maggior parte di questi casi il medico ritiene prudente intervenire con i farmaci (magari con un blando diuretico) mentre sarebbe più logico esordire con una dieta iposodica, se necessario anche ipocalorica perché talvolta basta perdere 4-5 kg di sovrappeso per avere già dei miglioramenti pressori.

 

I nutrizionisti non hanno la pretesa di certi erboristi o omeopati di curare tutto con mezzi naturali, ma sanno bene che molte "malattie di fegato" sono soltanto iatrogene, cioè da abuso di farmaci e non certo da alimenti "pesanti".

 

Prendere per anni dei farmaci ipotensivi, senza aver prima tentato di correggere alcune evidenti concause, come l'eccesso di peso, la vita stressante o l'eccesso abituale nel consumo del sale, non è una scelta razionale.


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